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Santa Maria del Pernone a Varone

La chiesa della Madonna del Perdono, o del Pernone, come viene comunemente chiamata, si trova al Varone, là dove si incrociano le strade che da Riva conducono verso la collina e il territorio di Tenno. Si tratta di una fra le più antiche chiese dell'Alto Garda, visto che sotto il pavimento del catino absidale nei recenti lavori di restauro sono venute alla luce alcune tombe con inumati e un sepolcreto a croce che richiama esempi di età teodosiana. Altri segni di antichità provengono da un brandello di pavimento mussale affiorato ancora negli scavi interni, nonché da un fregio preromanico riutilizzato in epoche successive all'interno del campanile.

Le notizie scritte si hanno invece a partire dal 1291, allorché un certo Ognibene di Riva nel suo testamento lasciava dieci soldi «Ecclesiae Dominae Sanctae Mariae de Pranono». L’edificio non doveva trovarsi però in buono stato, visto che dieci anni più tardi la disposizione testamentaria di Jacopino Benvenuti prevedeva esplicitamente che la chiesa fosse sistemata.

E ancora un'istituzione beneficiaria che dota Santa Maria del Pernone di un discreto patrimonio. Giacomo di Gardone, un artigiano del tempo, nel 1319 dispone infatti che le sue sostanze siano legate all'altare di San Giacomo Maggiore nella parrocchiale di Riva. Altrettanto accade il secolo successivo, allorché Gabriele Pitiliani lascia scritto che il suo corpo sia sepolto nel cimitero di San Francesco e nomina erede universale lo stesso altare di San Giacomo. Il diritto di patronato veniva però concesso al comune il quale disponeva che il beneficiato fosse tenuto alla celebrazione settimanale di sei messe presso l'altare maggiore della pieve e di una nella chiesa del Varone. Nella ricorrenza dell'Annunciazione, il sacerdote era poi tenuto a offrire ai fedeli una "carità" di pane,vino e fave.

Il 25 marzo la popolazione locale si recava infatti presso la chiesa per ottemperare alle disposizioni quaresimali, che proprio a ridosso dell'Annunciazione prescrivevano il tempo della penitenza e la necessità di chiedere perdono al Verbo che per redimere il peccato originale si incarnava nel seno della Vergine. E’ da questa antica tradizione liturgica che trae probabilmente origine il nome Santa Maria del Pernone, ovvero Santa Maria del Perdono, come appare nelle testimonianze che rivelano la fedeltà alla tradizione. Un documento del 1550 ci dice ad esempio che il 25 marzo del 1550 «in via publica ante ecclesiam Sanctae Mariae de Perdono» si radunò tanta moltitudine di popolo che la Messa dovette essere celebrata sopra un altare posto sul prato davanti alla chiesa. Anche in quell'occasione il cappellano Pietro Riccamboni distribuì comunque i prescritti quattro minali di frumento «in tanto pane», nonché uno di fave cotte e una brenta di vino.

Se si esclude la breve citazione del Mariani, che nella seconda metà del Seicento descrive la chiesa «in buon'essere con tre altari», per avere un'idea di come si trova Santa Maria del Perdono bisogna affidarsi agli atti visitali del 1694. A questa data l'altare centrale è dedicato alla Madonna dell'Annunciazione. Risulta consacrato, con la cerata decente, così come sembrano in ordine l'antipendio e la predella. Le assi sporgono però oltre il piano della mensa e si ordina di sistemarle. Si scrive anche che questo altare gode di un'indulgenza plenaria il giorno dell'Annunziata e «lì venerdì di marzo».

Un secondo altare, posto al lato del Vangelo, è dedicato a Sant'Antonio di Padova: questo non è consacrato, ha una sola tovaglia, la predella assai piccola e i due angeli lignei ai lati mancano entrambi di un'ala. E’ invece sconsacrato e sprovvisto di dedica l'altare al lato dell'Epistola. Manca il croci-fisso e i candelieri di legno sono indecorosi. Tutto il corpo della chiesa è del resto in cattive condizioni: le pareti sono sporche, il pavimento rovinato e il tetto lascia filtrare acqua. II campanile è senza scala e l'accesso pericoloso. A metà della chiesa, sul lato occidentale, una porta immette in un cortile rustico indecente, dove si trovano materiali ingombranti e perfino letame. Di fronte a questa decadenza è la stessa popolazione a preoccuparsi. Fonda la «fradaglia di Sant'Antonio» e non manca di comunicare al vescovo il disappunto nei confronti del comune di Riva non sempre attento ai bisogni dei fedeli.

La situazione sembra in effetti un po' migliorata nel 1750, allorché un'altra visita pastorale ci informa che grazie al lascito di don Giuseppe Ceschini il terzo altare è stato dotato di beni e dedicato ai Santi Gaetano e Filippo Neri. Il beneficiato celebra tre messe alla settimana, tiene scuola ai ragazzi di Varone ed è obbligato ad assistere gli infermi e i moribondi gratuitamente. Negli anni successivi i registri annotano una serie di piccoli interventi e la costruzione del nuovo altare di marmo (ora nella chiesa parrocchiale) che nel 1781 viene commissionato ai maestri lapicidi Giovanni Sartori, Domenico dal Rì e Antonio Scarperi di Castrone, coadiuvati da Giovanni Salizzoni e Niccolò Zanoni del Varone.

Evidentemente il paese, anche grazie alle vicine cartiere e ad altri opifici incomincia a crescere economicamente e nel numero degli abitanti. Gli stessi atti visitali contano 368 anime che ormai manifestano l'intenzione di ottenere perlomeno una parziale autonomia dalla pieve, che somma 2894 fedeli. Tramite i propri rappresentanti la comunità chiede che si istituisca la curazia, considerata la distanza da Riva e il bisogno della popolazione locale. L'assenso arriva nel 1784, allorché i capi famiglia si impegnano a mantenere il curato che possono legittimamente scegliere «con la pluralità dei voti secreti» e l'assistenza del parroco o suo deputato.

Nel 1804 vengono richiesti anche il fonte battesimale e il cimitero. Quest'ultimo, concesso nel 1805, pochi anni più tardi sembra però già trascurato. Un atto del 1827 annota infatti che «nel cimitero dietro la sacrestia v'è il disordine che la gente si ritira pei bisogni naturali, motivo per cui quella parte di terreno è oltremodo sudicia e lorda». Si rileva inoltre che la chiesa è umida e soprattutto «troppo piccola e non contiene neppure la metà della popolazione». Anche la sacrestia «è picciola, oscura e umida». La popolazione in effetti è aumentata ancora e diventa indispensabile pensare a un nuovo edificio.

La comunità si impegna quindi per una somma ragguardevole e cerca in diverse direzioni quanto necessario per dotarsi di una chiesa più grande e dignitosa; quella che in effetti, dopo non poche traversie, verrà consacrata nell'estate del 1888.

Con la fine dell'Ottocento, Santa Maria del Pernone, ormai sconsacrata, viene quindi utilizzata come magazzino o per altri usi impropri. Solo il recente restauro ha provveduto a ridarle una giusta dignità.

Di Mauro Grazioli, tratto da "Ecclesie, le chiese nel Sommolago", ed. Il Sommolago, Arco, TN. Giubileo 2000.
 


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