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La storia della chiesa di Varone

Quando nel 1827 il torrente Varone uscì dai suoi argini, danneggiando gravemente la chiesa del Pernone, la popolazione del sobborgo rivano cominciò a pensare seriamente all'edificazione di una nuova chiesa, più ampia e posta in luogo più sicuro.

Scrive don Francesco Fiorio in un suo promemoria, risalente al gennaio 1858 e inviato all'i.r. Pretura di Riva: «L'angustia dell'attuale Chiesa, la sua postura a cinque piedi sotto il livello della via, l'umidità che vi entra dalle muraglie indussero fino dal 1846 alcuni del paese di Varone a tentare la riedificazione di quel sacro luogo. Il Curato Sig. don A. Colò aveva raccolte delle sottoscrizioni [...] L'i.r. Giudizio, persuaso della necessità d'una nuova Chiesa [...] ne proteggeva il progetto e con decreto 8 giugno 1847 N.° 1400 acconsentiva che si radunasse Comizio per la scelta del posto ove erigere la Chiesa. Sia o no ragunato il Comizio, che abbia operato non so ben dire; so che alcuno gettò il mal seme». In effetti scoppia subito la diatriba se erigere la nuova chiesa di qua o di là del ponte sul torrente Varone. I venti di guerra del Quarantotto interrompono bruscamente questa iniziativa sul nascere. Scrive ancora don Fiorio: «Intanto il Curato che avea data al progetto la pinta, il Giudice che caldamente la favoriva si recarono altrove; l'idea restò nel pio desiderio dei terrazzani e la scarsezza degli annuali profitti con le miserie che la seguirono nel correre d'alcuni anni non lasciarono metter a opera l'idea che mai non si cancellò; e rivisse nell'agosto 1855». «Il Colera mieteva vittime ne' circostanti paesi», è sempre don Francesco Fiorio che racconta, «e Varone era illeso e lo fu fino ai 21 d'Agosto; il popolo per rendersi propizio il Signore diede vita alla idea della fabbrica della Chiesa, e divenne irreversibile». Il curato don Collini raduna i capifamiglia che solennemente promettono di erigere una nuova chiesa entro dieci anni. Inizia così la storia infinita della costruzione della chiesa nuova di Varone.

Già nel settembre di quell'anno essi scrivono al Municipio di Riva perché nomini una commissione che si incarichi di procurare i mezzi necessari alla edificazione della chiesa. Ma il comune risponde che «le tristi condizioni de' tempi non consentono per ora di secondare tale progetto e non essere desiderabile che nelle attuali circostanze si aggravino di spese coloro che debbono necessariamente vivere del lavoro».

Alcuni rappresentanti della gente di Varone non si rassegnano ad aspettare tempi migliori e il 25 marzo 1856 si rivolgono nuovamente agli amministratori del Comune di Riva, dichiarando di avere un piano per finanziare l'impresa che stava loro a cuore pur «lungi quant'altri mai dall'aggravare il povero con questue o lavori gratuiti». Essi pensavano a un sussidio del governo, a donazioni di benefattori facoltosi, a qualche gioco di beneficenza e «quando i nostri saranno ristorati dalle miserie presenti con un'associazione spontanea de' più facoltosi». E poi, nelle vesti di Cassandra, concludono con un sorta di profezia di manzoniana memoria: «che se questa nostra idea non si realizza temiamo venga tempo, né sarà lungi, in cui l'attuale edificio che si fa servire di chiesa ruinando, la spesa della riedificazione sarà a carico del Comune». La loro richiesta è una sola: che venga ufficializzata dal Comune di Riva la nascita di una commissione che prenda in mano il progetto della nuova chiesa.

E questo accade: si costituisce una commissione formata da Luigi Rigatti, Giacomo Pellegrini, Andrea Briosi e dallo stesso don Francesco Fiorio che persegue innanzitutto uno scopo prioritario: «procurare delle offerte dai Principi dell'Augusta Casa regnante, che sogliono per quel senso di religiosa pietà che gli anima essere larghi». Il loro impegno è premiato: nel 1858 l'imperatrice Carolina Augusta fa pervenire un'elargizione di cinquemila fiorini per la costruzione della nuova chiesa.

La relazione all'inclita i.r. Pretura di Riva datata 20 maggio 1859, firmata dal Podestà di Riva, mette in evidenza che la chiesa ha un misero patrimonio tale da non poter far fronte alle spese per la costruzione della progettata nuova chiesa. Si faceva conto soprattutto sulla raccolta di offerte. Il podestà segnala inoltre una certa discordia circa la collocazione del nuovo edificio sacro «in quanto che gli abitanti della Contrada de' Pellegrini alla sponda destra del Torrente Varone, e con essi il Deputato Pellegrini, la vorrebbero costrutta sulla sponda destra del suddetto Torrente, e gli abitanti la sponda sinistra la vorrebbero invece alla sponda sinistra rimettendo all'Autorità il precisarne la località». Il podestà conclude la sua relazione affermando che la decisione circa la collocazione della nuova chiesa «debba basarsi al voto del Municipio, del R.mo Signor Arciprete, del Curato e dell'Autorità Tecnica».

Il 10 febbraio 1865 l'intraprendente don Francesco Fiorio informa la Pretura di Riva che l'ingegner Mutinelli, dell'i.r. Ingegnerato di Rovereto, aveva corretto il disegno e il preventivo di spesa in tutte le sue parti, così come richiesto dall'i.r. Direzione delle pubbliche costruzioni in Innsbruck. C'era inoltre assoluta urgenza di far partire i lavori, perché la vecchia chiesa «presenta e reclama pronto e radicale riparo». L'imperatore Francesco Giuseppe invia la somma di mille fiorini. Ma la chiesa sembrava destinata a non erigersi oltre le fondamenta! Nel 1868 il curato di Varone, don Bartolomeo Zomer, presenta il suo rapporto sul progredire dei lavori ed esprime la speranza che essi siano terminati nel volgere di quattro anni. Egli riferisce che la popolazione di Varone è costituita da circa mille anime e lascia intendere quindi che c'era assoluto bisogno della nuova chiesa. Egli comunica poi la scarsa collaborazione che gli riserva don Pellegrini (beneficiario del legato Ceschini) e invita le autorità superiori perché egli «venga eccitato a prestarsi di più». Il 16 agosto 1876 il vescovo Haller ordina una questua a favore della erigenda chiesa curaziale, nel tentativo (illusorio?) di arrivare almeno al tetto. Nell'agosto del 1882 la commissione composta da Luigi Rigatti, Francesco Cattoi (capovilla) e dal curato don Zomer invia al Municipio di Riva un promemoria a stampa; segno evidente che, nelle loro intenzioni, quella lettera doveva essere una sorta di manifesto pubblico. Essi ripercorrono le fasi travagliate vissute fin a quel tempo dalla chiesa nuova del Varone: la trafila dei finanziamenti ricercati, l'approvazione complessa del progetto, il contratto con i fratelli Briosi e con l'imprenditore Carlo Conci per la costruzione. Ora la chiesa era giunta al tetto «ma è ben lungi ancora dall'essere compiuta, quantunque l'insufficienza della vecchia chiesa, l'insalubrità, la sconcezza e il pericolo di caduta che presenta, altamente reclamino, e urgentemente richiedono che si conduca a termine la nuova». Insomma servivano altri soldi!

Il 30 aprile 1883 in una riunione municipale il consigliere Cannella manifesta tutto il suo disappunto per 1"'incompiuta': «[...] Quelli del Varone con 13.000 fiorini che incassarono, dei quali 5.000 del Comune, ci danno un brutto spettacolo di quattro muraglie [...]».

I1 29 aprile 1884 il podestà di Riva Bernardinelli emana un avviso d'asta per l'affidamento dei lavori a completamento della chiesa nuova di Varone: prezzo di prima grida fiorini 5337, 90.

L'appalto viene affidato all'impresario Angelo Angeli da Dro. Egli svolge i lavori previsti dal preventivo di spesa stilato molti anni prima dall'ingegner Craffonara. Su indicazione della Commissione svolge poi alcuni interventi non programmati, ma che il procedere dell'edificazione aveva consigliato di eseguire. A conclusione dei lavori, nel 1866, egli si accorge di aver operato in perdita.

Si rivolge allora a chi aveva diretto i lavori, il geometra Giuseppe Caproni di Massone. E il buon tecnico dell'Oltresarca, che siamo ormai avvezzi a incontrare come protagonista della ricostruzione di tante chiese, prende le difese dell'impresario di Dro, affermando che i prezzi stabiliti inizialmente erano aumentati di un quinto. Egli riconosce di essersi attenuto, nello stilare l'atto di liquidazione, a quei prezzi, «non essendo avvezzo a salvar nissuno colla roba d'altri». «Nessun esperto imprenditore», afferma poi Giuseppe Caproni, «avrebbe assunto il lavoro sulla base di questo preventivo, e solo l'Angeli ignaro di simili opere si lasciò trarre nell'imbroglio»". E quindi propone al Comune di pagare al povero impresario un sovrapprezzo e una gratificazione, così come egli aveva evidenziato nell'atto di collaudo.

Ma ad Angelo Angeli questo non bastava. Scrive quindi al Municipio di Riva, lamentandosi soprattutto perché la verifica dei lavori svolti era stata condotta dal geometra Giuseppe Caproni, che aveva anche diretto i lavori su incarico del Comune di Riva. «Ora», dichiara l'Angeli, «è norma generale in siffatti lavori che chi fa il progetto e dirige il lavoro non deve fare il collaudo, ma a ciò viene scelto una persona tecnica estranea». L'impresario di Dro ricorda che «Moltissimi sono i lavori fuori di contratto, fra i quali il pavimento in cemento, i volti in tufi, il maggior alzamento del campanile, le pietre dure lavorate per le quali fu cambiato il disegno e furono ordinate nelle cave di Trento, mentre il sottoscritto poteva valersi delle cave di Vigne». Egli chiede quindi che il Municipio nomini un nuovo tecnico per il collaudo delle opere fatte, possibilmente un ingegnere "erariale". Non è documentata la conclusione della vicenda; ma questa è una delle tante storie dentro la storia della chiesa di Varone!

Ci vollero ancora due anni perché la chiesa potesse essere benedetta; l'11 agosto 1888 finalmente la nuova chiesa di Varone viene consacrata.

Una considerazione va fatta immediatamente: Varone ha vissuto negli ultimi decenni un grande sviluppo e il sobborgo è divenuto un paese con una propria identità. La chiesa dell'Annunciazione è proporzionata ora a questa crescita. Ma nella seconda metà dell'Ottocento arrivare a compiere questa impegnativa edificazione fu senza dubbio un atto di coraggio, oltre che un grande sacrificio in termini di risorse umane ed economiche.

Il 16 maggio 1912 monsignor Endrici, principe vescovo di Trento, visita Varone. «Ebbe luogo un solenne ricevimento da parte di quella popolazione giubilante. Il Vescovo entrò poi solennemente in chiesa, celebrò, predicò e distribuì la Comunione a molti fedeli [...]. La chiesa è spoglia e povera. Essa si presterebbe assai per una decorazione conveniente. Fu raccomandato al curato di raccogliere qualche elemosina a questo scopo, per esempio i bozzoli. La popolazione fa generalmente buona impressione e vuol bene ai suoi preti».

La generosità degli abitanti di Varone si manifesta ancora all'inizio degli anni Trenta quando finanziano la decorazione ad affresco della chiesa per mano del pittore Agostino Aldi. 

La chiesa si presenta a navata unica con due altari laterali; il presbiterio è ampio e profondo e termina con l'abside. Il soffitto presenta un alternarsi di avvolti ad arco e a cupole.

Vicino all'ingresso, in una nicchia a forma di capitello, vi è la statuetta di Sant'Antonio di Padova, a ricordo di un voto espresso durante la prima guerra mondiale. Su lato opposto, in altro capitello, è posta la statua di San Giuseppe con il Bambino.

I due altari laterali sono dedicati al Sacro Cuore di Gesù e all'Immacolata. In quest'ultimo altare la statua della Vergine è opera incompiuta dello scultore altoatesino Pendi e venne posta nella chiesa del Pernone nel 1870.

Altre immagini di santi sono raffigurate alle pareti, in nicchie anch'esse dipinte.

Ai lati nord e sud del presbiterio troviamo due grandi tempere. Quella a settentrione descrive le fasi che precedettero la battaglia a Ponte Milvio. Costantino circondato dai suoi soldati vede, in uno squarcio luminoso fra le nubi, la croce. Nel cartiglio è riportata la scritta «In hoc signo vinces». Se si considera il periodo storico in cui l'opera è stata realizzata (epoca fascista), si può cogliere la sotterranea intenzione del dipinto di ricordare l'accordo Chiesa-Stato avvenuto con la firma dei Patti Lateranensi. Senza allusioni politiche e più esplicita nel suo messaggio è la seconda tempera che raffigura Gesù maestro circondato dai suoi discepoli che egli sta preparando al sacro compito dell'evangelizzazione.

Nelle vele della volta sono raffigurati i quattro evangelisti, a ricordo di una tradizione riscontrabile nelle antiche chiese della valle. L'altare maggiore è posto su due livelli: in avanti la mensa con gli ingressi laterali, dietro la "parte alta" dell'altare. Il complesso marmoreo è opera settecentesca dei maestri lapicidi di Castione Giovanni Sartori, Domenico dal Rì e Antonio Scarceri e proviene dalla vecchia chiesa del Pernone. La pala dell'altare maggiore raffigura l'Annunciazione; risale probabilmente ai primi decenni del Settecento, ed era stata posta nella chiesa del Pernone nel 1782.

Nella calotta dell'abside è raffigurato infine Cristo, Re dell'Universo.

Di Romano Turrini, tratto da "Ecclesie, le chiese nel Sommolago", ed. Il Sommolago, Arco, TN. Giubileo 2000.
 


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