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La chiesa di Calvola

San Giovanni Battista

La chiesa di San Giovanni Battista è situata nel borgo di Calvola, là dove l’antica strada che saliva da Tenno si inerpicava lungo le pendici del monte Calino e proseguiva per il valico di Treni, attraverso il quale si poteva raggiungere la zona del Lomaso.  In una pergamena della fine del Duecento troviamo citata una chiesa di San Giacomo al monte Calino, ma per ora nulla induce a pensare che si tratti della stessa chiesa di San Giovanni con una diversa dedica, anche se non è possibile escluderlo del tutto. I recenti lavori di restauro hanno comunque confermato le lontane radici dell’edificio e riportato alla luce il primo impianto costituito da un’aula a un’unica navata, molto più corta dell’attuale, e la disposizione dell’abside rivolta ad oriente come nelle più antiche costruzioni cristiane. L’arco santo, probabilmente fino al Seicento, si trovava infatti sopra l’attuale porta d’ingresso e la piccola abside si sviluppava entro il segno ora reso visibile sul sagrato, lasciando liberi gli spigoli estremi, dove sono collocati un altare e la bella immagine della Madonna con il Bambino. Per il resto all’in­terno i segni del passato si svelano sia nelle strutture architettoniche, frutto di diverse sovrapposizioni, che negli affreschi riscoperti negli anni Settanta da don Renzo Fait e riportati alla luce proprio in seguito ai lavori di restauro. Le decorazioni dell’arco santo mostrano quanto rimasto di un ciclo databile attorno alla metà del XV secolo rappresentante l’Annunciazione e un trionfo di angeli che forse circondavano il Cristo Pancreatore; quelle sulle pareti laterali svelano i resti di un’Ultima Cena di epoca quattrocentesca e la Madonna della Misericodia, o del Manto,  con tre oranti inginocchiati in atteggiamento di supplica.

Gli atti visitali della seconda metà del Cinquecento parlano della chiesa definendola in mediocre condizione e con il tetto ed il campanile da riparare. Così leggiamo anche nel secolo successivo, allorché i visitatori ci propongono un edificio ancora modesto, dotato di pochi arredi, privo di opportune chiusure e soprattutto intaccato dall’umidità, in quanto l’acqua che si raccoglie nel canale alla base della muraglia «a mano destra» penetra nella chiesa danneggiandola non poco. In un paese che viveva della magra sussistenza agricola non si poteva certo destinare granché per i restauri, nonostante la devozione dei vivi e i testamenti dei defunti. La chiesa rimane dunque modesta, alla stregua dei suoi vicini. «Che tutte le finestre siano provviste di vetriate», leggiamo nei decreti del 1671, e l’altar maggiore si «provvegga d’un antipendio di drappo colorito, et che l’immagini, ossia statue del medesimo si dipingano condecentemente». Per evitare pericoli di contagio si ordina anche di levare il deposito funebre «esistente sopra il pavimento della chiesa» ove «riposano le ossa» di Antonio Zanolo: un membro importante della famiglia del luogo che in questo periodo aveva forse provveduto ad erigere l’altare laterale nonché a indicare alla sua discendenza la vocazione sacerdotale. Proprio a don Giacomo Zanolli, nel 1618, era stato assegnato il beneficio appartenente alla Confraternita dei santi Antonio e Giovanni: la fradaglia fondata lo stesso anno dalla comunità delle Ville del Monte allo scopo di avere un sacerdote che potesse celebrare la messa tre giorni alla settimana oltre «le feste comandate dalla Santa Chiesa… con quest’ordine: una festa nella chiesa di San Giovanni di Calvolla, et due nella chiesa di Sant’Antonio di Canale e Pastoé».

Due sono in effetti gli altari che troviamo  dalla fine del Seicento: il primo dedicato al patrono, con una statua lignea del Battista sistemata dalla parte del Vangelo, il secondo a  Santa Lucia, dove viene celebrata la messa sopra una mensa alquanto dissestata, tanto che si paventa il pericolo che il calice possa rovesciarsi. Nonostante le migliorie che caratterizzano il secolo della Controriforma apparentemente si trattava dunque ancora di opere modeste. La descrizione dell’epoca contrasta però con la realtà che possiamo intravedere in alcune fotografie dei recenti anni Sessanta. Queste mostrano infatti l’altare maggiore ligneo in stile barocco riccamente decorato e una pala attribuita a Giovanni Antonio Italiani, datata 1666, accompagnata da  una scritta che ricorda il massariato di Bartolomeo Zanolli detto della Marta. Per quanto riguar­da l’altare laterale, sempre in legno, lo stile ci riporta al Settecento, mentre l'opera raffigurante santa Lucia è stata attribuita a Teofilo Polacco. L’incuria di questi decenni ha però permesso che gli altari venissero in buona parte spogliati dei loro pregi, mentre nel 1961 le due tele sono state prelevate dalla Sovrintendenza ai Monumenti e nonostante il desiderio di riaverle sono ancora presso la Provincia di Trento.

Gli atti visitali del Seicento non considerano comunque queste ricchezze d’arte. Rimarcano piuttosto che come la chiesa anche il cimitero attorno all’edificio lascia a desiderare, tanto più che Giovanni Stoppini esercita un diritto di passo trasportando attraverso il terreno benedetto strame ed altre masserizie. Fra le tombe vegeta inoltre una pianta di noce, che oltre a lasciar cadere le foglie oscura la finestra che dà luce all’altare maggiore, non giovando certo alla causa dell’umidità. Explantanda foret, comandano perentoriamente i rappresentanti del vescovo, senza probabilmente trovare chissà che ascolto nella popolazione, anche perché i frutti di fra Galdino potevano far comodo alle 104 anime registrate a Calvola nel 1768.  Non cambia molto nell’Ottocento. La chiesetta rimane il geloso punto di riferimento per la popolazione, che tra offerte e rendite di fondi e capitali è in grado di assicurare un’entrata annua di circa 23 fiorini. Il cappellano beneficiato celebra la messa e tiene la dottrina; gli abitanti delle case intorno frequentano più o meno devotamente le sacre funzioni e festeggiano san Vigilio. Ancor più il patrono san Giovanni, allorché il 24 di giugno arriva in pro­cessione l’arciprete di Tenno accompagnato dai fedeli delle vicine frazioni. «Tutto in buon ordine», registrano per il resto gli atti del 1827, volendo significare che l’interno appare «sufficientemente decente» e così i pochi arredi della sacrestia. Tutto così così, fa eco invece un'altra visita quarant’anni più tardi, rimarcando che l’altare e la «balaustrata di legno» andavano sistemati. Si osserva soprattutto che il corpo della chiesa «per l’umidità è sconcissimo, e così si dica per il pavimento filtrandovi dentro l’acqua a motivo della gran quantità di materiale che dalla parte di settentrione ingombra la parete». In quanto al cimitero «necessita il ristauro dei muri di cinta, l’erezione di una croce e l’appron­tamento di cancelli per chiuderlo».

Non ci vuole tanto per arrivare ai nostri giorni, eppure molte cose sono mutate. Ora la chiesa restaurata presenta un’aula a volte ripartita da tre archi, due altari con antipendio e cornici di legno assai rovinate e manomesse. Da una porta si accede alla sacrestia abbastanza vasta, nella quale fa bella mostra un lavamano di pietra lavorata inserito nella parete. Non esistono praticamente arredi antichi, se non i banchi di legno del presbiterio; gli altri sono infatti frutto di acquisti recenti. Da anni non c’è più il beneficiato che celebra la messa secondo i “Capitoli” del 1618 e ormai non giunge nemmeno la pro­cessione da Tenno per la sagra di san Giovanni. A richiamare il cimitero dismesso da qualche decennio rimangono alcune lapidi e una croce a in ricordo di quanti sono stati sepolti sotto il noce nel piccolo slargo fra le case e la chiesa.

Tratto da "Ecclesie, le chiese nel Sommolago", ed. Il Sommolago, Arco, TN. Giubileo 2000.


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