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Chiesa dell'Immacolata

La chiesa di Santa Maria di Gardula, situata alla sommità di uno dei nuclei che assieme a Veduto e Frapporta formavano l'abitato di Tenno, appare fin dai tempi più remoti come pieve collegiata dell'intera comunità dipendente dalla giurisdizione del castello. Di un anonimo plebanus Teni abbiamo menzione ne1204 e da qui in avanti le notizie in merito ai sacerdoti e alla chiesa sono sempre più frequenti. Troviamo Marco arciprete di Tenno nel 1307, Bonaventura nel 1315, e un altro anonimo archipresbyter Thenni risulta presente nel 1336 al Concilio diocesano di Trento. Nell'elenco dei parroci di Tenno figurano anche personaggi importanti quali Giovanni de Hausen, maestro nelle arti liberali, Giacomo Achenburger e il più noto cardinale  Adriano de Corneto, che nel 1512 fu qui come esule e parochus commendatarius  lasciando le tracce delle sue opere e dei suoi titoli nella scritta e nello stemma tuttora visibili alla sommità del portale d'ingresso ricostruito nel 1881. Ancora al 1512 va riferita una lapide murata presso la porta laterale destra della stessa chiesa che ricorda la morte, forse per la peste, di Anna, figlia dì Eustacchio de Neìdeck, capitano di Tenno e di Riva.

Ai primi del Cinquecento la chiesa di Santa Maria era una costruzione a una sola navata e di modeste proporzioni, così come del resto rimarrà fino al tardo Ottocento. Carlo Menotti riporta che il campanile venne eretto solo nel 1535, l'abside ampliata nel 1594 e buona parte dell'attuale sagrato fungeva da cimitero. Rimaneva comunque un importante punto di riferimento comunitario sia per gli aspetti religiosi che civili, come fra l'altro conferma un diploma relativo ad alcuni privilegi concessi ai tennesi dal vescovo di Trento e pubblicato nel marzo 1405 proprio nella chiesa di Santa Maria di Gardula.

L'edificio in alcune sue particolarità viene descritto dagli atti visitali a partire dal 1537. La relazione del 1580 ci mostra ad esempio un fabbricato angusto, con le pareti piuttosto sporche e con poca luce. Ci sono quattro altari: quello maggiore dedicato alla Madonna Immacolata, gli altri al Crocifisso, a San Giovanni e a San Rocco, quest'ultimo eretto da poco per scongiurare le epidemie pestilenziali.

La situazione descritta nei primi atti visitali si protrae pressappoco fino alla fine del Seicento, allorché la chiesa viene parzialmente riadattata per conformarsi ai culti della Controriforma. Oltre all'altare maggiore, sempre dedicato alla Madonna Immacolata, e a quello di San Rocco troviamo infatti una nuova dedica alla Vergine del Rosario e la relativa confraternita, istituita, come in tante altre realtà, per celebrare la vittoria della flotta cristiana contro i turchi a Lepanto. Stante il parziale rinnovo della fabbrica, iniziato da otto anni e non ancora ultimato, nel 1694 troviamo scritto anche che i quadri degli altari laterali di San Rocco e della Madonna del Rosario sono posti accanto a quelli dedicati alla Trinità e alla Beata Vergine in fondo alla navata, altari che nella vi-sita del 1671 si era peraltro raccomandato di rimuovere, essendo sprovvisti delle relative pale e soprattutto di entrate sufficienti. Ad aumentare le dotazioni della chiesa interviene nel frattempo il consistente beneficio istituito nel 1672 da don Antonio e Carlo Armani, i quali, dopo averlo fondato nella chiesa di Fiavé, nel 1677 ottengono di poterlo trasportare nella cappella di San Carlo in Tenno e nel 1692 nella chiesa parrocchiale.

La situazione cambia ancora nel 1708, allorché la furia delle armate gallispane lascia il segno, tanto che qualche anno più tardi l'arciprete scrive di aver trovato l'archivio pressoché vuoto, attribuendone appunto «la cagione al saccheggiamento dato dai francesi al Castello di Tenno e all'incendio che in tal incontro ha dovuto patire in particolare la chiesa parrocchiale». Questa volta oltre agli altari dedicati alla Vergine Immacolata, a San Rocco e alla Madonna del Rosario, nello spazio già ristretto della navata troviamo quelli di San Giuseppe e Santa Caterina, Sant'Antonio di Padova e San Valentino. Nonostante i danni della guerra pochi anni più tardi il corpo della chiesa viene giudicato in buone condizioni. Così la sacrestia e il campanile, rialzato nel 1711 a opera di Giovanni e Francesco Brunati di Campo. Sul campanile è posto l'orologio, che secondo le disposizioni testamentarie di don Gerolamo Brocchetti è affidato alla manutenzione del «monego», ovvero del sacrestano. Si annota fra l'altro con una certa soddisfazione che l'altare maggiore e i due laterali sono in marmo, mentre rimangono probabilmente di legno gli altri. In prossimità della chiesa si trova anche la cappella di San Carlo, legata ai benefici Armani e Antonini, dove è stata eretta la confraternita dei Disciplini; oltre a questa, l'oratorio dell'Addolorata con la confraternita del Santissimo Sacramento tuttora aperto al culto.

La descrizione più accurata risulta quella che il parroco Francesco Dalume fa in occasione della visita del 1768. «La chiesa parrocchiale ha la porta maggiore verso occidente e due laterali verso settentrione, quale s'estende verso il mezzogiorno ove ha l'altar maggiore e di dietro v'è il coro, poscia la sacrestia e la torre per le campane appresso il coro, per cui si entra verso oriente. Entrando per la porta maggiore a parte sinistra trovasi il battistero, e a parte destra il vaso per l'acqua santa, e di sopra l'organo, che ha l'entrata fuori di chiesa da parte dell'oriente. Nel muro a parte destra evvi il sacrario, poscia un confessionale per le donne, indi il banco per i confaloni, poi il pulpito. Dietro l'altar maggiore dalla parte del vangelo trovasi il luogo per gl'oli santi [...]. All'altar maggiore evvi eretta la compagnia della Concezione, all'altare del Rosario quella parimenti del Santissimo Rosario. Vi sono in tutto cinque altari, ed eccetto quello di San Giuseppe [frutto del beneficio Armani] gl'altrí hanno le pietre consacrate portatili.[...] Le campane sono quattro, né sono peranco benedette». Si citano anche due «cappelle contigue alla chiesa parrocchiale», quella di San Carlo con la confraternita della Disciplina l’oratorio dell'Addolorata con la Confraternita del Santissimo Sacramento. Si scrive che queste «servono talvolta di comodo ai sacerdoti per celebrarvi, in ora inopportuna nei giorni festivi», fatto che provoca disordine e distrazioni, quando si «dice messa» in un punto e si predica in un altro.

Il parroco si dilunga anche a descrivere le usanze della comunità, soprattutto quelle religiose, che si concretizzano fra l'altro in una miriade di processioni: «la prima domenica del mese per i rosarianti, nella terza col Santissimo Sacramento e col medesimo nelle altre domeniche dopo il Corpus Domini fino a San Bartolomeo; nella quarta per la dottrina cristiana. Si fa la processione nel giorno della purificazione di Maria, delle Palme, e di San Rocco fino a San Lorenzo in Frapporta. Nel giorno della Concezione si circonda la villa e così nel Venerdì Santo, ai 3 di maggio colla Santissima Croce, nella seconda domenica dopo Pasqua per l'Addolorata e nella terza domenica di luglio per il Carmine. Si fa processione nel primo giorno di maggio a Sant'Antonio, nel giorno dell'Ascensione del Signore fino al monte Magnon», e così via, anche verso località più lontane, in un lungo elenco che, se non fosse per l'esiguo spazio a disposizione, varrebbe la pena riportare per intero. Può essere opportuno comunque citare la processione per intercedere la pioggia alla chiesa di Sant'Abbondio di Dro, «che è assai longa», precisa l'arciprete, «e in cui si fa più male che bene, perché ci vanno promiscuamente uomini e donne e gioventù, e per tale occasione la gente si ubriaca, e si fanno amoreggiamenti, detta perciò la processione delle promissioni matrimoniali». Vi è un'altra usanza che al sacerdote va poco a genio. E quando «si fa congresso delli uomini della comunità previo un picciol segno colla campana in un'estremità dietro alla sacretia verso la parte orientale». Ciò che sembra un «disordine da non tollerarsi», egli precisa, «è che creandosi il nuovo sindaco nel giorno di San Giovanni apostolo, in cui vi è predica e messa solenne, i giurati vanno in sacrestia a ballottarlo, e ivi dentro si chiudono con incomodo delle funzioni e dei sacerdoti che sono per celebrare, i quali sono costretti starsene fuori di sacrestia, essendo occorso nell'anno scorso che hanno voluto congregarsi in tempo di predica, con non poca ammirazione di popolo, e aggravio dell'ecclesiastica immunità».

Ma al di là di queste osservazioni rimane il problema di un edificio sempre meno adatto a contenere la popolazione che nel Settecento appare aumentata. Un rapporto del 1827 riporta infatti che la chiesa «a cagione della sua ristrettezza riesce di maestra al tedio delle sacre funzioni e della parola di Dio, all'irriverenza e all'indecenza, impercioché nei giorni di maggior concorso, per solennità o per predica quaresimale, o altro, molta popolazione è costretta a starsene fuori; quella che vi entra è affollata, s'appoggia sopra gli altari laterali» provocando danni alle mense e agli arredi. «Quasi tutta in piedi si urta e ondeggia e ben presto comincia a sortire» fermandosi poi a «cicalare» o a passeggiare sul sagrato e nel vicino cimitero.

Passata la furia napoleonica, nei primi decenni dell'Ottocento si cerca dunque una soluzione adeguata, pensando a una «dilatazione» sulla base di un disegno predisposto dall'ingegnere circolare. A mancare sono però i fondi e così l'intenzione rimane sulla carta. La visita del 1839 in effetti non evidenzia nessun passo avanti. Sottolinea anzi l'aumentato disagio che non riguarda solo la chiesa ma anche l'attiguo e trascurato camposanto, dove per far posto ai nuovi defunti è necessario rimuovere con mezzi poco ortodossi quanti sono stati sepolti in precedenza.

«In quanto alla fabbrica della chiesa ci è forza pazientare fino a tanto che le circostanze economiche del rispettivo comune saranno più propizie», si scrive ancora nel 1869, «ma tuttavia non ci asteniamo dal raccomandare che non si perda di vista un argomento di tanta necessità e importanza». Di fatto l'ampliamento della chiesa, sulla base di un progetto dell'architetto Liberi, risale al 1881, allorché, non senza qualche rimostranza da parte del comune, anche grazie alla donazione di Adamo Brocchetti si poté procedere alla consacrazione di un edificio a tre navate, allungato e abbellito secondo quanto da tempo sperato.

E’ in fondo la situazione in cui la chiesa si trova oggi. Entrando dal nuovo portale sul quale è stata riposizionata la dedica del cardinale Adriano de Corneto, sulla sinistra dopo il battistero si incontra un primo altare con la pala della metà del XVII secolo che raffigura la Madonna in cielo con Sant'Antonio di Padova e San Valentino. Della stesa epoca è probabilmente anche la tela con la Madonna e i Santi Rocco e Sebastiano sul secondo altare, sull'ancona del quale si nota anche una statua allegorica della carità rappresentata da una madre con tre bambini. Sul primo altare di destra, che porta la dedica ex voto di don Giuseppe Brunati e la statua di Simone da Trento, si trova invece una pala del XIX secolo che raffigura San Giuseppe con il Bambino Gesù, mentre nel secondo è collocata una statua della Madonna dello stesso secolo. Nell'ancona dell'altare maggiore si trova una pala con l'immagine della Vergine e le statue di San Rocco e Sant'Antonio, mentre sui muri della navata sono disposte le stazioni di una Via Crucis datata 1784.

Nello spazio absidale affrescato in anni relativamente recenti da Giuseppe Tarter, è stato sistemato il vecchio coro che porta la data del 1730. Sulle pareti sovrastanti e a fianco dell'arco santo si trovano gli affreschi trecenteschi eseguiti da Giuliano d'Avanzo rimossi dalla chiesa di San Lorenzo in seguito ai restauri degli anni Cinquanta. Dal retro dell'abside si entra in sacrestia dove si conservano altre due tele del secolo XVII e un bel mobile di noce della stessa epoca.

Di Mauro Grazioli, tratto da "Ecclesie, le chiese nel Sommolago", ed. Il Sommolago, Arco, TN. Giubileo 2000.
 


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